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Fallo per me

Mi chiamo Claudia, ho diciannove anni e sono innamorata. Antonio ha undici anni più di me ed è incredibilmente figo. Tutte le mie coetanee mi invidiano, ma io sono sicura che lui ami solo me. Fra noi l’amore è nato con un colpo di fulmine e per dimostrarmi la sua lealtà, una settimana dopo che ci siamo conosciuti, si è fatto tatuare il mio nome sul braccio. “Così tutti sapranno che mi appartieni”, mi ha detto. Mi telefona spesso. Si arrabbia se non gli rispondo: ha troppa paura di perdermi. Una sera sono scesa in taverna a guardare un film e ho dimenticato il cellulare in camera. Mi sono addormentata proprio nell’istante in cui avrei dovuto rispondere alla sua chiamata. È così innamorato di me che ha pensato che lo volessi lasciare e si è precipitato a casa mia. Stava praticamente sfondando la porta, quando mio padre gli ha aperto. Ha creduto al fatto che fossi al piano di sotto, solo quando mi ha visto. Il mio dolce amore era così spaventato che per poco non mi ha stritolato tra le sue braccia. Un’altra volta ho sentito lo squillo del telefono in ritardo, perché ero sotto la doccia. Quando ho risposto, mi ha coperta di insulti, ma non mi sono offesa, perché so che le sue parole erano dettate dalla preoccupazione. Le sue continue attenzioni mi lusingano. Quando usciamo, vuole che mi copra bene. È geloso: mi vuole solo per sé. Facciamo l’amore tutti i giorni, anche più volte al giorno. Non posso dirgli di no. Se lo faccio, mi accusa di non amarlo più. Io invece voglio che sappia che gli sarò fedele fino alla morte. Per questo lascio che lui giochi col mio corpo, anche quando sono stanca o non lo desidero. Un paio di settimane fa ho parlato di lui a mia madre. Sostiene di essere un po’ preoccupata, perché da quando sto con lui, non esco più con le mie amiche e ha paura che la possessività di Antonio nei miei confronti prima o poi mi si ritorca contro. “Sei ancora molto giovane, puoi trovare centinaia di ragazzi migliori di lui. Non devi fare la schiava di nessuno, nemmeno del tuo uomo. Che tu non voglia lasciarlo perché non piace a me, è comprensibile, ma devi pensare a te stessa e al tuo futuro. Se non vuoi farlo per me, fallo per te: salvati fin che sei in tempo!”. Ho provato a spiegarle che la sua gelosia è motivata dal fatto che mi ama follemente, ma lei non riesce a capire. Ragiona proprio come quelle sceme delle mie amiche. Sono così invidiose della mia storia d’amore che mi hanno fatto un discorso molto simile. Anna, la mia ex – migliore amica, mi ha perfino chiesto di scegliere fra lei e Antonio. “Ci ha tolto ogni spazio che avevamo, non vuole nemmeno che tu venga a casa mia per un tè. Sei la sua fissazione, la sua mania. Io non credo che il vostro sia un rapporto sano. Non pretendo che lo lasci, ma che t’imponga, esigendo qualche attimo per te stessa e per le tue amiche. Se non vuoi farlo per te, fallo per noi, fallo per me!”. Non credevo potesse essere così superficiale: non ha capito che il nostro è amore vero e che non possiamo fare a meno di stare sempre insieme. Come può pretendere che scelga lei invece dell’amore della mia vita? Antonio è tutto quello che ho sempre sognato: un uomo d’onore, con principi forti, basati sulla fedeltà e sulla lealtà. Non mi importa se dovrò lottare contro tutto e contro tutti per stare con lui. Anche mia sorella mi ha messo in guardia sugli uomini gelosi, ma lei la posso capire. Si è da poco separata dal marito, perché la picchiava selvaggiamente e senza ragione. Ovviamente ha perso fiducia in ogni uomo, ma Antonio non alzerebbe mai le mani su di me senza motivo. L’ha fatto solo una volta, ma è stato per colpa mia. Eravamo insieme da poco e volevo testare quanto fosse reale il suo attaccamento per me. Così ho finto di essere al telefono con un altro e, quando Antonio mi ha chiesto di consegnargli il mio cellulare, io non gliel’ho dato. Allora lui si è avventato su di me. Prima mi ha spinto, poi, siccome continuavo a tenere il telefono fuori dalla sua portata, mi ha preso per i capelli e mi ha trascinata vicino a lui. Io ridevo, ma lui era furioso. E gli è scappato un pugno. Si è fermato subito, appena ha visto il sangue scendere dalla mia bocca. In quell’istante è diventato più tenero e premuroso che mai. Era sinceramente pentito e si è scusato. Mi ha fatto capire che il mio era stato un pessimo scherzo e gli ho promesso che non giocherò più così pesante. Se non avessi messo in dubbio il suo amore, lui non avrebbe mai reagito in quel modo. Mi sono comportata come una vera stupida, ma ora so che per Antonio sono davvero molto importante. Me lo dice sempre: “Se mi lasci, ti uccido!”. Solo una persona molto innamorata può pensarla così.

Mi chiamo Mirko, ho trentotto anni e sono sposato con Lucrezia da quando avevamo tre anni. Nel parco giochi della scuola materna c’erano due anelli di latta, quelli che facilitano l’apertura delle bibite in lattina. Non c’erano testimoni, ma ci siamo promessi eterno amore, scambiandoci i cerchietti di metallo. Quel gesto ha segnato il nostro futuro: non sono più stato in grado di pensare a nessun’altra donna da allora. Siamo cresciuti insieme e insieme abbiamo condiviso le nostre vite. Non ci siamo più lasciati. Io ho studiato ingegneria all’estero per un paio d’anni, ma ci sentivamo in continuazione, mediante posta e internet. Mi sono sempre fidato di lei e lei di me. Sappiamo che i nostri cuori si appartengono: né il tempo né le distanze ci fanno paura. Otto anni fa ci siamo finalmente scambiati una vera fede nuziale nella chiesa del nostro paese natale, davanti ai nostri amici e ai nostri parenti. In seguito abbiamo avuto due splendidi bambini: Antonella, che compie sette anni il mese prossimo, e Davide, che ha due anni e mezzo. Siamo una famiglia unita e felice. Ovviamente le discussioni non mancano, soprattutto quando parliamo dell’educazione dei nostri figli. In quel caso si alza spesso la voce, ma poi tutto finisce con un abbraccio e il giorno dopo ci si ama di più. Non ho mai controllato il cellulare di mia moglie: non ho bisogno di rassicurazioni circa la sua fedeltà. Lei invece l’ha fatto, una volta, ma ancora oggi, ridendo, nega l’evidenza. Chissà cosa sperava – o non sperava – di trovare scritto lì dentro! Amo Lucrezia con tutto me stesso e, se improvvisamente decidesse di lasciarmi, la prima domanda che mi farei è “perché”? Non riesco a immaginare una vita senza di lei. Siamo così felici che mi sarebbe difficile comprendere, ma nonostante il dolore immenso che potrei provare, la stimo così profondamente che temo che alla fine la lascerei andare. I miei figli invece sono tutto ciò a cui non potrei mai rinunciare. Davide sta imparando a parlare e, ad ogni nuova frase che pronuncia, per noi è festa, tra risa e lacrime di commozione. Antonella è la donnina di casa, la mia principessa, l’unica a cui non so mai dire di no. Ieri pomeriggio mi ha convinto a portarla alla sua prima pigiamata tra amiche. Cenerà con loro e poi faranno dei giochi insieme, sempre sotto la supervisione dei genitori della padroncina di casa, ovvio. Alle 23.00 in punto andrò a prenderla, per riportarla nel suo lettino. È così emozionata che in queste due notti non ha chiuso occhio: ha paura di fare una figuraccia, addormentandosi prima del rientro a casa. È una bambina così dolce, ma devo prepararmi: la mia cucciola sta crescendo.

Sono le 22:50 e Antonio mi sta trascinando con forza sull’auto. Mi fa male il braccio, ma più cerco di divincolarmi e più lui stringe. Eravamo in un locale e stavamo bevendo un paio di cocktail. Lui si è assentato per andare al bagno e un ragazzo, credendo che fossi sola, mi si è avvicinato per offrirmi un altro drink. Gli ho subito risposto che ero accompagnata e allora lui gentilmente mi ha detto che doveva immaginarlo, perché una bella ragazza come me non poteva essere sola. Ho sorriso, perché un complimento fa sempre piacere, ma proprio in quel momento è tornato Antonio. Deve aver equivocato il mio atteggiamento cortese. Senza dare spiegazioni, ha steso con un pugno il ragazzo e poi ha dato uno schiaffo a me, facendo cadere il bicchiere che avevo tra le mani. Infine mi ha afferrata per un braccio e mi ha trascinata fuori, urlandomi addosso che sono una puttana, che non mi si può lasciare mai sola, che per colpa mia aveva fatto male a un ragazzo e che ora non avrebbe potuto più mettere piede in quel locale. I suoi occhi gridano collera e il fatto che sia ubriaco non aiuta. So che finirà come la prima volta che mi ha picchiato. So che mi farà male, ma poi tornerà il sereno tra di noi, come succede sempre. Sentirò dolore e domani dovrò inventare una scusa con la mia famiglia per coprire i lividi, ma è solo questione di tempo: presto tutto passerà. Mi sta scaraventando in auto. Ecco, è arrivato il momento. Mi preparo. Ma che fa? Non mi picchia? Mi sta fissando. Adesso sta mettendo in moto. Dove mi sta portando?

Sono le 22:50 ed è ora di mettersi in viaggio: Antonella mi sta aspettando. In auto non sono solo: con me ho dovuto portare anche Davide. Il mio piccolino si è svegliato piangendo e Lucrezia dormiva così profondamente che ho preferito non svegliarla. “Papi, io nanna te”, mi ha detto allungando le manine sul mio collo. Non è la prima volta che per farlo addormentare adotto la tecnica di caricarlo in auto di notte. Credo che i sobbalzi delle ruote sull’asfalto lo cullino meglio delle nostre braccia e in pochi istanti cederà al sonno. “Stai tranquillo e riposa”, gli ho sussurrato agganciando la cintura di sicurezza del seggiolino. Lo guardo nello specchietto retrovisore prima di partire. È un cucciolo meraviglioso. Dio solo può immaginare quanto lo ami! Antonella non si stupirà di vederlo, ma appena salirà in macchina lo riempirà di baci, come fa sempre quando lo vede dormire. Anche lei lo adora, ma lui non le permette di baciarlo quando è sveglio, così lei è costretta ad approfittarne quando la stanchezza gli annulla le difese. Li immagino da grandi: saranno due giovani forti e gentili e, quando avranno bisogno di un buon consiglio, io e mia moglie saremo pronti a dispensarglielo. Sono il senso della nostra vita e tra pochi minuti saremo ognuno nel nostro letto, sognando spensierati l’arrivo del nuovo giorno.

Antonio ha bevuto e sta guidando come un pazzo. Mi sta dicendo che non può vivere senza di me, ma che non può stare con una che ci prova con tutti. Avrei preferito che mi picchiasse. Non capisco quali siano le sue intenzioni, ma non posso parlare o si arrabbierà di più. Sto piangendo, perché non riesco nemmeno a discolparmi. Sono stata davvero una stupida a sorridere in quel modo. Non avrei dovuto nemmeno ascoltare la voce di quel ragazzo: a volte mi comporto come una vera ingenua. La furia che aveva negli occhi è diventata disperazione e disprezzo. Non vedo l’ora che tutto finisca: voglio solo tornare a casa. Davanti a noi c’è il cartello che indica l’autostrada e Antonio sta svoltando per imboccarla. Il fischio del telepass ha interrotto per un attimo la tensione che si è creata tra noi e trovo il coraggio di parlare. “Dove stiamo andando?” chiedo. Lui si volta a guardarmi, ma il suo sguardo mi terrorizza: mi sta sfidando. “Ti porto dove meriti: all’inferno!”. Oh, mio Dio! Che sta facendo? Quello è lo svincolo per chi esce, non per chi entra!!! “La stai prendendo al contrario, Antonio! Che fai? Così ci ammazzeremo!!!”. Di nuovo si volta verso di me, con fare gentile, come per rassicurarmi: “Solo così ti avrò per sempre e sarai solo mia!”.

L’autostrada è semideserta a quest’ora: in pochi minuti sarò da Antonella. Chissà quanto sarà felice! È la sua prima uscita serale con le sue amiche. Parlerà di questo pigiama party per mesi. Davide non sta ancora dormendo, ma vedo la sua testolina cadere nel vuoto di tanto in tanto, segno inequivocabile del fatto che sta cedendo. Tra le braccia stringe il suo pupazzetto preferito e sulla radio ho messo della musica classica per conciliargli il sonno. Guido piano, seguendo la corsia più a destra per non creare impiccio a chi sopraggiunge a velocità più sostenuta. Imbocco l’uscita. In lontananza mi sembra di vedere delle luci. Probabilmente stanno facendo dei lavori e… Questo è molto strano: le luci si avvicinano… Non è possibile! Sono i fari di un’auto, nella mia stessa corsia, in senso contrario. Sopraggiunge a velocità folle. Che sta succedendo? Lo sto abbagliando ma sembra che non abbia intenzione di fermarsi. Rallenta! Così mi verrai addosso! Rallenta! Ho mio figlio di due anni in auto! Fermati per l’amor di DIO!!!

“Sei pazzo! Fermati! Cazzo, fermati!!!”. Sto urlando disperatamente e all’improvviso le parole di chi mi aveva avvertita cominciano a prendere senso. Troppo geloso, troppo ossessivo… non è un rapporto sano… sei la sua mania… allontanati finché sei in tempo… lascialo… difenditi… fatti rispettare… se non vuoi farlo per te, fallo per la nostra amicizia, per il tuo futuro… Avverto lo schianto frontalmente. Qualcosa di ingombrante ha invaso lo spazio di fronte a me. Sento un forte peso sullo stomaco e il sapore del sangue nella bocca. La macchina gira su sé stessa e per una frazione di secondo il tempo rallenta e incrocio gli occhi spaesati di un bambino nell’altra automobile. Anche lui mi guarda, smarrito, e non posso fare a meno di sentirmi colpevole. L’auto gira ancora, una, due, forse tre volte. Fa rovesciare l’altra, che finisce contro il guard rail. Finalmente anche la nostra auto si ferma. Gli air bags sono esplosi e i vetri sono completamente in frantumi. Non sento dolore, ma non riesco a toccarmi. Un braccio è piegato in una posizione innaturale e l’altro… Oh, mio Dio! Dov’è il mio braccio? Nel buio vedo solo una macchia nera che si allarga su quello che è rimasto della mia camicetta. Ho freddo e ho tanta paura. Provo a muovermi, ma un pezzo di carrozzeria mi si è conficcato nello stomaco. Antonio ha perso conoscenza, ma improvvisamente di lui non m’importa più niente. Sto provando a urlare, ma qualcosa in gola m’impedisce di emettere suoni. Dall’altra auto non sopraggiungono rumori. Non so chi guidava, ma là dentro ho visto un bambino. Un bambino. Abbiamo ucciso un bambino! Che colpa poteva avere lui in tutta questa storia? Abbiamo spezzato la sua giovanissima esistenza e quella di tutte le persone che lo amavano e che resteranno in vita, a piangere la sua scomparsa per il resto dei loro giorni. Perché ci hai fatto questo, Antonio? Se volevi morire, potevi farlo da solo! Solo adesso me ne rendo conto: avevo tutto, prima che tu me lo portassi via. Adesso non mi rimane più niente, nemmeno la consolazione di abbandonare questo mondo avendo stima per me stessa, per quello che sono stata. La verità è che anch’io mi sento colpevole, perché anch’io, con la mia permissività nei tuoi confronti, ho ucciso quel bambino. Sento gli ultimi battiti farsi sempre più lenti e fiacchi nel petto e mi sembra di vederlo. La vita mi sta abbandonando, ma i suoi occhi smarriti durante l’impatto, che mi chiedevano di vivere ancora, rimangono fissi nei miei. Scusami cucciolo, perché solo adesso mi appare tutto più chiaro. Se ti avessi incontrato prima, sapendo quello che ci sarebbe capitato, mi sarei comportata molto diversamente. Se ti avessi conosciuto prima… Se solo avessi saputo… Che peccato che non ci sia concesso di conoscere il futuro: se potessi tornare indietro, non mi lascerei più né picchiare né umiliare. Perdonami se puoi, perché solo adesso mi rendo conto che tutto questo si poteva evitare. Ti supplico, assolvimi piccolo! Scusami, mamma! Scusami, Anna! Avrei dovuto ascoltarvi! Come ho fatto a restare sorda al peso delle vostre parole? La violenza è un tornado che si abbatte sulla mischia, perché non sa contenere la sua forza distruttiva. Miete le sue vittime in preda a una furia cieca e la conta dei danni comprende il dolore di molte persone. È inutile giustificare gli insulti e coprire i lividi, prima o poi sconfinerà. Soltanto adesso capisco. Così tu, piccolo martire innocente, se avessi potuto parlare, anche tu mi avresti supplicato di guardare in faccia alla realtà. Anche tu ti saresti unito al coro. Anche tu, come tutti, mi avresti urlato forte: “Fallo per me!”. Ormai è tardi: il destino si è compiuto. Mi sento più debole a ogni attimo: la forza mi sta abbandonando. In lontananza sento il suono delle sirene. Qualcuno sta parlando, ma lo ascolto a fatica: “Morirà anche lei, come gli altri. È intrappolata nelle lamiere. Non ce la farà!”. I battiti si smorzano. Il freddo aumenta. Chiudo gli occhi. La mia vita finisce a diciannove anni, per colpa di un pazzo che mi amava al punto di ammazzarmi.

Mujeres

Buona giornata delle donne a tutte! A Margarita non è una festività importante. È chiamato il giorno delle donne (dia de las mujeres), ma nessuno si congratula regalando fiori di mimosa. Qui, se non fosse per qualche augurio strampalato, ci si dimenticherebbe di questa ricorrenza. Eppure le donne sono pilastro e motore di questo paese, soprattutto per via del loro grande potere seduttivo. Cominciamo col dire che le donne venezuelane hanno dalla loro un fisico prepotentemente erotico, con curve decisamente pronunciate e sederi e seni alti e sodi. Oltre alle forme generose che la natura gli ha regalato, hanno qualcosa che, forse, a noi, per lo meno a me, manca: consapevolezza e malizia. In genere portano i capelli lunghi e sciolti sulle spalle e hanno sempre le mani molto curate. Anche quando non hanno i soldi per poterselo permettere, ogni due settimane si affidano alla ricostruzione delle unghie. Difficilmente escono di casa struccate, MAI senza rossetto. Normalmente non hanno buon gusto nel vestire e accostano maglie e pantaloni senza criterio di abbinamento cromatico. Non portano quasi mai abiti scollati o scosciati. Li indossano invece molto –e sottolineo molto- aderenti, anche quando le rotondità eccessive richiederebbero di evitarlo. Eppure c’è qualcosa nel loro modo di porsi, nel loro incedere lento e flemmatico, che risulta incredibilmente erotico. La loro sensualità è magnetica. Sanno essere irriverenti, provocanti e spregiudicate, senza mai eccedere nella volgarità. Sviluppano da giovanissime una consapevolezza matura per la propria fisicità, con tutti i rischi e i vantaggi che ne conseguono. Ma questo le rende di gran lunga più attraenti rispetto a noi. Sanno come giocare con la loro bellezza e, manipolandola a dovere, sanno come ottenere sempre quello che vogliono. Non cadete nel solito tranello: la bellezza è un dono che posseggono tutte le donne e ciascuna appartenente a questo genere dovrebbe prendersene cura! Denigrare chi lo fa, sicuramente può aiutarci a star meglio, ma nasconderci dietro milioni di giustificazioni, perché non siamo in grado di farlo, non ci rende migliori. Il genere femminile ha dalla sua un potere così grande che nel corso della storia è stato in grado di determinare l’insorgere di guerre devastanti e il collasso di governi e imperi. Ci sono state donne che, fin dal principio dei tempi, col loro fascino, hanno soggiogato uomini importanti e decretato cambiamenti di portata mondiale. Siamo state accusate di essere streghe e in tutti i modi hanno provato a sterminarci: bruciandoci vive, imponendoci la sottomissione, chiamandoci meretrici. Il nostro passato è denso di lotte e la nostra forza continua a segnare il nostro passaggio. Spesso, però, per non essere definite sesso debole, ci atteggiamo al pari di un uomo, occultando così proprio quel potere in più, che deteniamo in virtù della nostra femminilità. Quando mai essere diverse ha significato essere peggiori? Siamo esseri differenti! Siamo donne: con la lacrima facile per un film di Walt Disney; con le mille domande alle nostre mille risposte; con i nervi a fior di pelle qualche giorno prima delle mestruazioni e la voglia di tenerezza davanti a una tazza di cioccolata calda con panna. Saremo sempre incomprensibili per il genere maschile, ma i più feroci giudici di una donna sono le donne stesse! Oggi, però, per una volta almeno, guardiamoci negli occhi e facciamoci i migliori auguri con sincerità! Perché siamo tutte quante bellissime, perché siamo tenaci e combattive, perché siamo fragili e sensibili, perché siamo tutte potenzialmente madri e spose, perché siamo sorelle e amiche o, semplicemente, perché ce lo meritiamo. Auguri donne, italiane o margaritegne che siate! Feliz dia de las mujeres!