Archive for Vivere a Margarita

In palestra

Dopo un paio di mesi dal mio trasferimento, mi sono iscritta in palestra. Era parecchio che non ci mettevo piede. Ci sono andata per svagarmi un po’, per conoscere nuova gente e, principalmente, per rassodare i glutei, ma ai corsi di fitness curano poco quella parte. È chiaro: a loro non interessa, perché madre natura le ha già ben dotate! La stragrande maggioranza delle donne iscritte in palestra ha posteriori tali da far invidia a Jennifer Lopez! La parte restante siamo io e alcune signore non più giovanissime o di discendenza europea. Allora ho deciso di frequentare il corso di yoga: un po’ di sano stretching e di relax non fanno mai male! Entro nella sala per prima e vedo dei tappetini già posizionati a terra. Deduco che siano occupati e ne srotolo un altro sistemandolo in fondo. Mi siedo e aspetto. Ovviamente l’orario in cui dovrebbe iniziare la lezione è già passato da qualche minuto: in questo un venezuelano non si smentisce mai! Poi, improvvisamente, qualcuno al microfono annuncia l’inizio della lezione e almeno una ventina di persone entrano nella sala, occupando i tappetini. Entra anche l’istruttore. Cavoli! È il primo margaritegno che lascia a bocca aperta: un venticinquenne da urlo! Però! Yoga inizia a piacermi sempre di più! Quando parla capisco la metà delle cose che dice, però, quando chiede se per qualcuno è la prima lezione, lo percepisco e alzo la mano. Allora mi guarda e sussurra qualcosa. Stavolta non ho capito niente. “No entendì…” dico. Lui si avvicina e ripete in spagnolo: “Perché non sei venuta più avanti? I tappetini erano a terra per quello”. Ah, cavolo! L’avessi intuito prima, certo che sarei venuta davanti! “Per vederti meglio!” avrebbe risposto il lupo con voce grossa a Cappuccetto Rosso. Allupata! È proprio il caso di dirlo! E mi scappa un sorrisetto di troppo. “Mi sembrava chiaro che fossero a terra per quello, no?” mi chiede. Deve aver frainteso il sorriso e, se rispondo che non era proprio così ovvio, si incazza. Meglio cambiare strategia e recitare la parte della timida. “Certo! Però è la mia prima volta a yoga e sono…”.  Se solo avessi un po’ più di padronanza linguistica! Io e il mio spagnolo maccheronico! “…e sono…” Come cavolo si dice in imbarazzo?! “…en embarazo?!”. Per chi conosce questa lingua sa già dove sto andando a parare. In una frazione di secondo ho visto addolcirsi lo sguardo del mio super-sexy istruttore. Per tutta la lezione ha avuto delle attenzioni incredibili per me. Mi ha esonerato da alcuni esercizi, mi ha chiesto di non forzarne altri… Wow! Quando già mi stavo illudendo di avere un ammiratore da record, ecco che si avvicina, mi mette una mano sulla pancia e mi chiede: “Di quanto sei?”. Solo allora, avvampando come una donna al nono mese di gravidanza (appunto!), mi sono ricordata che embarazada significa proprio ‘incinta’. “Poco” ho risposto quasi senza voce. Terminata la lezione mi sono defilata velocemente. Finale della storia? Mi sono iscritta in un’altra palestra! Ommmm…

…Beccato!

  1. […] A volte, quando la spiaggia è meno affollata, puoi perfino fare un fortunato incontro con un granchio. Con i suoi simpatici occhi a binocolo fa capolino dalla sua galleria sotterranea, solo quando è sicuro che nessuno intralcerà il suo cammino. È in grado di rimanere per ore in attesa, con una pazienza e una dedizione incredibili, a dimostrazione del fatto che la natura si rivela in tutta la sua selvaggia bellezza, proprio quando l’uomo fa un passo indietro e lascia al creato la possibilità di godere della sua primitiva libertà.

    http://bettidotti.com/2016/04/19/in-spiaggia/

1 Settembre

Radio, televisione, giornali, internet. Ogni giorno siamo bombardati di notizie: guerre, fatti di cronaca, politica. Persino il pettegolezzo merita un posto d’onore nel palinsesto. Ma siamo davvero sicuri che tutte le informazioni che ci arrivano dal mondo corrispondano a verità? Certamente, con i nuovi mezzi di comunicazione che la tecnologia ci ha messo a disposizione, è difficile che qualcosa sfugga a un occhio indiscreto senza avere un fondo di verità. Ma allo stesso tempo un dato può essere pilotato, gonfiato, smontato, distorto o persino rovesciato. Lo si fa da sempre, non è una novità. L’abbiamo fatto tutti! Fin da piccoli, quando dovevamo avvisare i nostri genitori di un brutto voto a scuola e ci sottraevamo alla nostra responsabilità, facendola ricadere sull’insegnante, che ce l’aveva a morte con noi. Vi è mai capitato di aggiungere un particolare al pettegolezzo di condominio, certi del fatto che qualcuno ve l’aveva detto e, invece, si trattava di un semplice fraintendimento, ma ormai la vostra aggiunta ha preso fondamento nella catena di Sant’Antonio del palazzo ed è diventata parte del racconto originario? Se chi si occupa di informazione non partecipa in prima persona ai fatti esposti, ma si esprime ‘per sentito dire’, chissà quale quantità di fraintendimenti una notizia potrebbe recare con sé. Non solo: chi decide l’ordine di importanza delle notizie? Quali e quanti interessi nasconde il retroscena di un palinsesto? A parità di rilevanza, quale fatto di cronaca ha la precedenza? Quello accaduto su territorio nazionale sicuramente, ma poi? Perché alcune mattanze internazionali non hanno diritto di menzione in un notiziario, mentre ad altre viene data un’eco mediatica insistente? E quando si tratta di eventi storici, che potrebbero avere un impatto positivo sul pubblico, ispirando speranza e buoni sentimenti, che parametri devono possedere per rientrare almeno nei titoli di coda? È trascorso un mese preciso da allora. Ho atteso pazientemente che qualcuno ne facesse menzione, ma i nostri tg non se ne sono occupati. Le uniche testimonianze in italiano sono arrivate da sedicenti giornalisti esperti in diritto internazionale, che hanno dato voce alle incredibili bugie che il governo venezuelano ha architettato, per evitare che la giornata di cui in oggetto avesse larga visibilità mediatica. Censure e corruzione hanno fatto il resto. Il risultato è stato che, a parte i paesi del latino-America, che hanno definito la ‘toma de Caracas’ (la presa di Caracas) la seconda marcia più estesa del pianeta per numero di partecipanti, paragonando questa lotta alle battaglie pacifiche di Gandhi, il resto del mondo non ne ha ricevuto notizia. Soprattutto per questo, voglio rompere il silenzio: perché questo paese non merita una simile umiliazione. L’uno di settembre, in Venezuela, la marcia pacifica di una moltitudine impressionante di persone ha sfilato per le vie di Caracas, la capitale, solo per chiedere al regime dell’attuale presidente in carica, l’attivazione del ‘revocatorio’, praticamente le sue dimissioni. Vi chiederete cosa c’è di così rilevante in questo. Bene, avete mai visto sfilare per le strade di Roma un milione di persone, chiedendo pace e giustizia per il proprio paese? UN MILIONE. Gente straziata dalla miseria e dalla crescente mancanza di sicurezza che da ogni parte del paese si è messa in marcia per giorni, per raggiungere la capitale. Uomini e donne, giovani e anziani, persino i malati sulle loro carrozzine hanno viaggiato per chilometri pur di prendere parte a questa manifestazione. Chi non ha potuto raggiungere Caracas, ha marciato per le strade della propria città. Un fiume di persone, migliaia di volti segnati dalla stanchezza e dalla fame, ma col cuore e gli occhi colmi di speranza. Mani asciutte e disidratate che brandivano fiere il bastone della propria bandiera nazionale con la voce rotta dall’emozione, chiedendo pace e libertà. Libertà. Solo vivendo a Margarita ho scoperto la vibrazione più profonda che questa parola sa produrre nell’anima. È un sentimento che sviscera prepotente da dentro, che accalda lo spirito e che ti brucia nel petto, rischiando di soffocarti, fino a quando non vomiti nell’aria quell’unico termine che concentra in sé il suono primordiale della passione: “LIBERTÁ”. Sono trascorsi secoli e per noi quel vocabolo non ha più la stessa importanza, ma ci sono popoli che ancora lottano per il diritto alla scelta. Sapete cosa significa recarsi al supermercato e trovare i bancali vuoti? Fare interminabili code per poter comprare un kilo di farina e due rotoli di carta igienica ogni quindici giorni? Correre da una farmacia all’altra alla ricerca di una banale tachipirina, sapendo che tuo figlio rischia la polmonite e l’unico modo per curarlo saranno le tue preghiere? Andare al lavoro e non sapere se farai ritorno, perché il livello di delinquenza è tale che ogni giorno rischi la vita uscendo di casa? Aver paura di parlare e chiedere giustizia, perché il potere militare è dalla parte del governo e con le minacce e le armi può metterti a tacere per sempre? È la dittatura di un governo che si fa chiamare democratico e invece ti costringe al silenzio, che fa divampare il fuoco del desiderio di un cambiamento. Io lo so. Ci ho vissuto. Non c’è niente di più autentico della smania di chi, stremato, urla la propria disperazione e implora l’uscita dal baratro. Chiedo libertà per il mio amato Venezuela, ma soprattutto chiedo la verità di un’informazione che ci viene costantemente negata. Perché quella gente non può farcela da sola. Serve il nostro aiuto. E inizia semplicemente da qui: coscienza e conoscenza. Per ora può bastare.

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La Restinga

Contrariamente a quanto si può immaginare, pur essendo un’isola, Margarita offre un’incredibile gamma di paesaggi, tutti diversamente incantevoli. Nella parte più a nord, un piccolo stretto si allunga su una laguna che si apre e abbraccia il mare, immergendosi nella natura più incontaminata. La Restinga è uno dei luoghi più affascinanti e ricchi di mistero dell’isola, ma pochi conoscono l’incanto della desertica penisola di Macanao e della mini-Venezia, che territorialmente segna l’inizio di questa terra selvaggia.

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Dopo circa un’ora di strada da Porlamar, su una carreggiata sempre dritta e semi desertica, si parcheggia in uno sterrato e ci s’incammina su un molo di legno, lungo il quale sono ormeggiate una ventina di piccole imbarcazioni a motore. Prima di intraprendere il viaggio nella laguna, la guida di turno offre la possibilità di scelta tra due tipi di percorso: uno breve, della durata di circa quaranta minuti, e uno più lungo, di quasi due ore. Una volta sistemati nella barca il mezzo viene lanciato a tutta velocità e, con qualche schizzo d’acqua e il vento tra i capelli, il divertimento comincia.

Quando i motori iniziano a rallentare, poco a poco ci si ritrova inghiottiti nell’ombra e il paesaggio si trasforma. Addentrandosi nella Restinga, si ha come la sensazione di sperimentare dal vivo l’emozione del bosco incantato di Hansel e Gretel. Dal mare aperto ci si ritrova chiusi in canali d’acqua stretti e poco profondi, circondati da una fittissima vegetazione, con la particolarità che gli alberi circostanti sembrano posizionati al rovescio, con le radici che piovono dal tronco e si tuffano in mare, terminando la loro vorticosa discesa in un piccolo cespuglio di alghe e gusci.

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L’incanto però si svela, quando si osserva appena oltre la superficie dell’acqua. Laggiù, a centinaia, le stelle marine fluttuano dolcemente, accompagnando l’ondeggiamento del mare sospinto dall’avanzare dell’imbarcazione, ancorate alle radici, colorando con chiazze arancioni il fondale, che assume le sembianze di un fiorito prato autunnale.

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Non è un caso il mio accenno a Venezia. Copiando il romanticismo della nostra splendida città italiana, qualcuno ha posto lungo questi canali dei piccoli cartelli, assegnandogli un nome: ‘Calle de los enamorados’ (strada degli innamorati), ‘Plaza del beso’ (piazza del bacio), ‘Via del amor’ (via dell’amore)… Immagino che, se quando siamo andati in visita alla Restinga, fossimo stati una coppietta in luna di miele, non avremmo esitato a tenerci per mano e baciarci. Invece, eravamo una compagnia di amici che, ad ogni cartello, commentava con battute ironiche e maliziose. Altro che romanticismo!

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Il paesaggio di quando in quando cede il posto a delle distese di radici che spuntano dal sottosuolo in piccole piazzole di bastoncini perfettamente equidistanti tra loro: una fitta trama di legnetti della stessa misura, tanto che sembrano appena rasati da un tagliaerba. Credo che sia stata proprio questa loro originale conformazione a dettare all’uomo la pratica di chiamarle ‘parco’ o ‘piazza’.

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Varie specie di uccelli svolazzano nel cielo o si elevano maestosi, sporgendosi dall’acqua sui massi o tra i rami degli alberi.

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Una volta superati i vari canali, dopo quest’intensa visita della laguna, si giunge su una delle distese di sabbia più lunghe dell’isola. È risaputo che la sabbia del mare è per lo più costituita da conchiglie, gusci e sassi che, col tempo e per via delle onde e dei fenomeni atmosferici, si assottigliano fino a diventare granelli sottili quasi impalpabili. La sabbia della Restinga, invece, è composta da granelli dalle dimensioni di chicchi di riso, sorprendentemente lisce e per nulla fastidiose al tatto.

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Se ci si avvicina alla riva e si scava leggermente col piede, si può sentire qualcosa tra le dita: basta abbassarsi e raccogliere il guacuco (vongola) a mano libera. È così facile effettuare questo tipo di ‘pesca’ che qualcuno si organizza, portando da casa dei contenitori appropriati per la raccolta, o delle semplici bottiglie in plastica con un foro. A proposito di molluschi marini, prima di chiudere, vi lascio con un consiglio: se venite alla Restinga, lasciatevi sbalordire dalle sue ostriche. Chiedete alla vostra guida di occuparsi dell’ordinazione. Questo è il posto più adatto per consumarle, sia per la loro rinomata qualità e freschezza, sia perché le godrete a prezzo barato, cioè economico e la giornata assumerà un gusto ancor più memorabile.

Volti di Margarita

Quando ricordo la mia infanzia, un velo di nebbia avvolge le immagini di per sé sfuocate, che scorrono rapide nella mia mente. Per ogni sequenza, però, avverto nitido il sapore dolce o amaro di quel momento. Non solo. Mentre mi rivedo saltellare spensierata per le strade del mio paese natale, mi riaffiora netta la memoria di volti che imprescindibilmente legherò per sempre a quel luogo e a quel tempo. Non si tratta di persone che hanno accompagnato la mia esistenza, ma semplicemente di volti che hanno reso caratteristico un passaggio di questa. Credo che per ciascuno di noi ci siano fisionomie che caratterizzano un luogo, immagini che inevitabilmente accostiamo a una città o a un ricordo, visi indimenticabili che ci suggestionano e si fondono con un paesaggio. Anche per Margarita vale lo stesso. Non vi racconterò delle persone che amo di più su quest’isola, ma dei soggetti che per me la descrivono. Ritratti di personalità che, quando sarò lontana, mi faranno scorgete un accenno di somiglianza in qualcun altro e il mio pensiero indugerà tra le vie di questo ‘mio’ pezzetto di Venezuela…

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Lui è Don Queso, il signore dei formaggi: occhi chiari che si perdono in un volto scuro e corpulento, ma che guardano il mondo con attenzione, proiettando forza e rigore di carattere. Un uomo apparentemente tenebroso, che si è sciolto in un sorriso dolcissimo, quando gli ho chiesto se potevo fargli una fotografia. Nei giorni feriali, di mattina, monta il proprio banco a lato della strada che porta alla Playa de la Caracola. I suoi sono formaggi eccellenti, di ottima qualità. Con serietà e franchezza ti conduce sulla scelta da operare. Il suo fiore all’occhiello è il ‘de mano’, una forma di formaggio bassa e rotonda, simile a una torta, dall’inconfondibile retrogusto di mozzarella. Da provare!

 

imageLei è Wendy, la mia ortolana di fiducia. Da lei si recano decine e decine di persone per acquistare la frutta e la verdura migliore. Non è la classica persona solare, quella che ti fa simpatia al primo sguardo, ma concedile il beneficio di un complimento o di una buona parola e ti restituirà cortesia. Dispone la mercanzia al lato di una delle strade d’accesso principali della città, al finale della Bolivar e a Porlamar è molto conosciuta. È una tizia alla mano, una lavoratrice instancabile, che ama la schiettezza e odia chi le chiede un frutto fuori stagione o d’importazione. Quindi, attenzione alle richieste che le fate, perché il suo modo di esprimersi senza filtri, a volte le fa dire cose che sarebbe meglio non udire…

imageLui invece è Jhonny, il venditore di cappelli. Si trova su un angolo della Santiago Mariño. Difficilmente lo si vede in piedi a promuovere la sua mercanzia. Rimane ore e ore seduto al lato del suo banchetto, all’ombra, immerso nella lettura del testo sacro per eccellenza: la Bibbia. Di tanto in tanto alza gli occhi neri per recitarne un verso e poi ritorna con lo sguardo sulle pagine che appaiono pallide pallide tra le sue mani. La sera richiude il banchetto, che con poche e semplici manovre si trasforma in un carretto e, riponendo il suo libro preferito in una tasca, lentamente fa rientro a casa, trascinando il suo piccolo negozio su ruote. È una presenza discreta, un uomo semplice che trascorre ogni sua giornata tra letture sacre e lavoro, ma basta avvicinarsi a lui con un sorriso, per vedere la luce sul suo volto. Il classico margaritegno che conosco solo di vista, ma per cui non si può fare a meno di provare affetto.

imageQuest’uomo è quello che Aurora chiama ‘el abuelo del jugo de naranja’ cioè il nonno del succo d’arancia. Si posiziona all’imbocco della prima Bulevard, nel cuore del centro storico di Porlamar. Ogni sua piccola ruga racconta la dolcezza e la vitalità di un uomo capace di donare poesia e dignità a una professione così umile. Compie ogni gesto con una precisione e una cura tali che, chi lo osserva, rimane incantato, piacevolmente sorpreso e ammirato dalla passione che dedica al suo lavoro. Da un carrello apparentemente anonimo sceglie le arance migliori, le taglia con lentezza, affondando il coltello nel centro esatto, per ottenere due parti perfettamente uguali. Non le scaraventa nella cesta, come fanno molti altri che si occupano di questo, ma le appoggia, come se temesse di fargli male. Poi, una a una le mette nello spremitore e con energia, sorridendo al cliente in attesa, abbassa la leva per spremerne il succo. Ti riempie il bicchiere fino all’orlo e, se lo bevi velocemente, si affretta a riempirtelo di nuovo. Una sferzata di vitamine all’ennesima potenza! Un incontro che non potete assolutamente perdere!

imageDi questa donna invece non conosco il nome. Per me è la signora dei fiori. Vende la frutta in centro, anche lei posizionata al lato di una Bulevard, poco distante dalla piazza principale. Il suo originalissimo cappello formato da fiori freschi recisi e sistemati tra i capelli la rende insolitamente straordinaria. I solchi intorno agli occhi e alle labbra raccontano un vissuto che ha lasciato la gioventù alle spalle da parecchio tempo, ma il trucco vistoso e i colori vivaci del suo abbigliamento dicono chiaramente quanto sia forte in lei lo spirito di chi non ha affatto rinunciato a vivere. È il volto rappresentativo della femminilità venezuelana, l’atteggiamento indomabile e fiero di chi non si concede al passaggio del tempo, di chi non si arrende facilmente alla vecchiaia, ma urla al mondo con forza che la bellezza non conosce età.

imageInfine c’è lui. In verità non so chi sia, è solo uno tra le molte ‘guardias del pueblo’, uomini in divisa militare che sorvegliano la città, cercando di renderla più sicura. L’ho fotografato perché, a differenza degli altri, me l’ha chiesto proprio lui. Mentre cercavo uno scatto della città, allungando il telefono dall’interno dell’auto con il finestrino abbassato, lui si è alzato in piedi e mi ha detto che voleva essere ripreso nella foto. Come potevo dirgli di no? Un gesto di simpatia va sempre premiato e quest’uomo rappresenta un gruppo di persone che hanno reso un buon servizio a Margarita, fungendo da intermediari tra le più intransigenti forze militari e i cittadini, frustrati dalla crescente criminalità. Ricorderò per sempre quel sorriso amabile dietro il riflesso di un paio d’occhiali, così come ricorderò sempre Margarita, la mia isola, quel piccolo angolo di Caraibi che sorprendentemente, nonostante tutto, mi ha insegnato dove inizia la strada per rincorrere la felicità. Dove? Chiederete voi. Vi risponderò in modo semplice: là dove finisce tutto quello che avete sempre pensato essenziale. Improvvisamente vi rendete conto che ogni gesto non ha senso se non vi appaga e che la vita va avanti comunque, sia che siate pronti ad affrontarla oppure no.