Quando penso che non ci sei più, mi sembra di soffocare.
Per quasi due anni abbiamo condiviso le ore del mattino, la mia scrivania di fronte alla tua.
Ingombrante, non solo per la mole robusta del tuo fisico, ma anche per via del tuo carattere vigoroso e ostinato, a 70 anni suonati avevi la curiosità di uno studente alle prime armi e quella stramaledetta caparbietà di voler farcela da sola.
“Sto cazzo di computer”, era la frase che ripetevi più spesso, convinta che quella macchina infernale cospirasse alle tue spalle e cancellasse da sola cartelle, files, appunti e siti di navigazione.
Ma tu non mollavi mai, sempre aggiornata sulle nuove tendenze della tecnologia, sempre un passo avanti rispetto a quello che ci si aspetta dai tuoi coetanei.
“Mi sarebbe tanto piaciuto fare l’avvocato”, mi dicevi spesso.
Era un amore viscerale per la giurisprudenza quello che ti attanagliava dentro, ma forse anche la voglia di rivincita, per una vita che non ti ha concesso molte vittorie, ma una valanga continua di lotte.
Hai conosciuto il sapore amaro della sconfitta, l’asprezza della delusione e la frustrazione della sopportazione, ma hai sempre conservato il tuo spirito possente.
Negli anni del maschilismo imprenditoriale, hai tenuto testa ai tuoi pari, puntando i piedi e sbattendo i pugni.
Fragile quanto cocciuta, ti ho vista spesso piangere.
Dicevi di essere stanca del lavoro, che avevi bisogno di più comprensione e, un attimo dopo, con voce ferma ti attaccavi al telefono per sollecitare il pagamento delle fatture arretrate.
E poi la tua passione per la manualità, per la pittura e l’arte in genere…
Artista nell’animo. Lavoratrice per diletto.
Chi ti conosceva bene ti definiva una vera regina di cuori: forte, tenace, battagliera.
Amavi la tranquillità del lago, la socialità, la buona compagnia.
Mi risuona nelle orecchie la tua voce l’ultima volta che ti ho sentita: “Ho la febbre, Betty. Io non ce l’ho mai. Ho paura perché con i miei problemi…”
Ci ho pensato. Sapevo che avevi ragione, ma non lo credevo davvero. O forse semplicemente non lo speravo. Maria è andata via leggera, quasi in punta di piedi, senza far rumore. Lei che aveva un timbro deciso e graffiante, lei che non potevi non notare nemmeno se lo volevi.
Dopo giorni di febbre insistente e forti mal di testa, il suo unico pensiero era quello di non disturbare il medico e l’ambulanza, perché, anche se stava male, quelli erano giorni di festa e in quel momento c’era gente conciata peggio di lei.
Maria non ha avuto un funerale per dire addio alle tante persone che la conoscevano.
Maria è morta di Covid19, una delle tante vittime di questa temibile pandemia, soprattutto nel nostro territorio.
Maria continuerà a vivere nei miei ricordi e nei ricordi di chi le ha voluto bene.
Maria che lascia in disordine i documenti, Maria che mi trattiene sulla porta dell’ufficio a chiacchierare, Maria che ride per la mancanza di competenza del governo, Maria che si commuove quando parla di sua figlia, Maria che ha il cuore in frantumi per un’attività fallita, Maria che sogna di iscriversi all’università della terza età, Maria che vuole imparare a usare Instagram e il programma di contabilità, Maria che va al corso di pittura e si iscrive a inglese, Maria che mi dice ammirata ‘sei brava!’, Maria che si mette a dieta per l’ennesima volta, Maria che non vede l’ora di godersi la tranquillità della sua casa a Monte Isola, Maria che mi prende in giro perché non so usare la calcolatrice…
Maria.
Che non può e non sarà mai solo un numero…